La mia vita, seppur reclusa e dolorosa, con gli arresti domiciliari tornò a essere più «umana», come quella di prima quand’ero semplicemente un onesto lavoratore. Un giorno Sandro Castellari venne a farmi visita a casa. Era stato don Piergiorgio Rigolo, cappellano del carcere, a intercedere per me dopo che mi parlò delle opportunità dell’Oasi.
«La prego, sto impazzendo – lo implorai – io faccio di tutto, mi prenda con sé a lavorare, non la farò pentire».
Sandro non si fece impietosire, mi girò le spalle e se ne andò: «Dicono tutti così» fu la sua lapidaria sentenza.
Capii solo in seguito l’obiettivo di quella fugace visita, studiarmi, accertarsi delle mie reali intenzioni e della mia propensione verso il nuovo impegno.
A Sandro bastavano pochi sguardi. Il convincimento a parole era solo un orpello superfluo cui non cedeva con facilità.
A me interessava invece solo uscire di casa. Non m’importava a quale lavoro sarei stato sottoposto, purché non fosse relegato ancora dentro le quattro, asfissianti, mura domestiche.[…]
La telefonata arrivò e fui convocato a Cordenons. Mi proposero di essere impiegato, in borsa lavoro, per sei ore al giorno.
Diedi una mano a far di tutto, dalla carpenteria al giardinaggio, dallo sfalcio dell’erba al taglio della legna.
Eppure la domanda che facevo a me stesso si ripeteva sempre identica: «Dove sono finito?»
Non tolleravo il lassismo dei miei colleghi, le loro regole da galeotti professionisti, i loro codici non scritti, i sotterfugi, la trasandatezza.
Con Aldo e Toni ebbi i miei primi scontri.
«Chi siete voi per dirmi cosa devo fare io? Io sono sempre stata una persona onesta, mica come voi!»
Non ero un ladro, non ero un tossico, non ero un alcolizzato. Rifiutavo di vedermi in questa sfera decadente che omologava all’esterno il giudizio generalista intorno all’Oasi.[…]
L’occasione per riequilibrare la mia inquietudine mi fu data quando mi insegnarono a usare il trattore per lo sfalcio dell’erba.
Mi gestivo in autonomia il lavoro, nei campi, da solo.
Fu un momento di profonda meditazione e di cambiamento. Una solitudine rigenerante. Accettai i miei limiti, ridimensionai le mie invettive, le ansie, il disagio. Ragionai sul futuro, al fatto che fuori dalla cooperativa la vita sarebbe stata dura una volta scontata la pena.[…]
«Ti diamo più ore – mi disse Sandro – mi piace come lavori». Appofondii nel tempo le mie competenze anche in altri settori.
Ora sono il jolly dell’Oasi.
Testimonianza raccolta da Francesco Guazzoni per il libro Non era un miraggio. I vent’anni dell’OASI per la dignità sociale e occupazionale di detenuti ed ex detenuti