Negli anni Ottanta l’alta formazione professionale era consolidata all’Irfop, il lavoro non mancava e noi ci stavamo orientando da tempo verso strumenti didattici innovativi, discipline sperimentali, nuovi stimoli culturali a cui attingere per applicarli in campi ancora inesplorati.
Ci affacciammo così al mondo delle carceri, in collaborazione con il Cedis di don Galiano e con la Provincia di Pordenone presieduta da Sergio Chiarotto.
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Il corso per «Addetti alla manutenzione del verde pubblico e privato» (4 edizioni di 800 ore) e i corsi per tipografi e grafici, allorché ci indirizzammo ai detenuti in semilibertà che frequentavano il Centro Diocesano.
Che l’obiettivo pratico oggi sia stato centrato è la storia dell’Oasi a dimostrarlo.
Per quello più profondamente formativo sul lavoro, inteso non come semplice necessità di sostentamento della persona ma di soddisfazione e miglioramento dell’individuo, mi affido invece a una riflessione che Lorenzo, un neolaureato in Ingegneria Ambientale, mi confidò dopo aver provato per due mesi l’esperienza della cooperativa.
Quando cioè calò «dall’alto» dei suoi studi teorici verso il «basso» delle attività pratiche e fu affiancato ad Aldo, il veterano dei soci lavoratori dell’Oasi.«È solo un lavoro quello a cui attacchiamo il nostro tempo e la nostra vita per buona parte dell’anno, tutt’al più costellato da ripetute dozzine di attese del giorno di paga? Oppure c’è dell’altro in quei giorni pur fatti di orari da rispettare e di servizi da rendere nel modo più decoroso possibile?
Possibile che quella sensazione che ci può attraversare anche guardando un’aiuola o un giardino perfettamente rasati e puliti al termine della giornata non ci stia dicendo che forse abbiamo fatto qualcosa per noi stessi oltre che per il datore o il cliente? In realtà nel fare bene il nostro lavoro risiede una possibilità di riscatto di fronte ai nostri occhi e a quelli della società che mi stupisco sempre di poter scoprire, laddove la qualità e la dedizione del nostro fare presuppongono anzitutto attenzione e poi quasi religiosa presenza. Per chi vanta un passato burrascoso o comunque (solo) apparentemente inaccettabile dalle persone “perbene”, questo significa ammettere a se stessi che si è perfettamente in grado di fare qualcosa di buono e di essere orgogliosi di questo. Ed è allora finalmente facile immaginare che a una persona così rinata non venga più in mente di farsi ancora del male come in passato…»
Giuseppe Franchi
già direttore dell’Irfop di Pordenone