Era il 2006. Accadde in un bar. Mi accasciai sul tavolino, l’oste chiamò l’ambulanza, una corsa verso l’ospedale con due ulcere e il fegato praticamente annientato.
I medici mi diedero speranze quasi nulle.
Un amico, un angelo, provò invece a darmene una. «Se vuoi ti do io una mano e avrai una seconda vita» mi disse.
Gli credetti e ci provai. Dopo venti giorni di ospedale a Pordenone passai alla riabilitazione per un mese in una struttura a Sacile, quindi altri trenta giorni al Servizio Alcologico di San Daniele del Friuli. Poi qualcuno mi propose di andare all’Oasi. Non ero mai stato carcerato ma mi presero ugualmente con loro. Ero uno straccio incapace dei benché minimi movimenti, mi sentivo uno dei Miserabili di Victor Hugo o, più schiettamente, roba da far fogo. Totalmente inutile a me stesso e agli altri.
Qui incontrai il secondo angelo della mia vita, Sandro Castellari, un papà buono, forse troppo. Ma con me ha funzionato. Ha funzionato il suo metodo da grande famiglia che condivide problemi, dispiaceri e successi.
Ha funzionato perché qui ho cambiato mentalità, ho imparato l’arte dell’ascolto, a essere più comprensivo, a immedesimarmi nelle emozioni e nelle situazioni degli altri.
Ho capito quanto le persone gridino il loro bisogno di aiuto senza doverlo esprimere a parole. Come è capitato a me.
L’alcol mi aveva portato via ogni cosa. Prima fra tutte la dignità.
Testimonianza raccolta da Francesco Guazzoni per il libro Non era un miraggio. I vent’anni dell’OASI per la dignità sociale e occupazionale di detenuti ed ex detenuti